COSE DA SAPERE – Idiozie e luoghi comuni sui migranti
“AIUTIAMOLI A CASA LORO”
Certo è necessario, ma non sempre è possibile.Guerra, carestie, sconvolgimenti climatici rendono la sopravvivenza impossibile in molte zone del pianeta. Molte di queste migrazioni dipendono da decisioni economiche, politiche e militari che l’Italia e i Paesi occidentali hanno imposto ai loro Paesi di origine.In questo caso aiutarli a casa loro significherebbe innanzitutto eliminare le ragioni per cui scappano: intervenire sul commercio delle armi, illegale e legale, smettere di sostenere regimi dittatoriali di comodo, non depredare i sistemi economici di Paesi già fragili, smettere di fomentare, partecipare, finanziare le guerre.
“NON TUTTI SCAPPANO DALLA GUERRA”
È vero. Molte delle persone che migrano scappano da fame, miseria, persecuzioni e violenze. Non sono motivi sufficienti per cercare di vivere con dignità e sicurezza in un altro Paese?Al 31 agosto i principali Paesi di origine dei migranti arrivati via mare in Europa sono: Siria 28%, Afghanistan 14%, Eritrea 13%, Nigeria 19%, Iraq 3% (dati UNHCR).
“CI STANNO INVADENDO”
Non è vero. Secondo i dati del ministero degli Interni, dall’inizio del 2016 sono sbarcate in Italia 132 mila persone. Gran parte delle persone non si ferma in Italia, ma continua il proprio viaggio verso il Nord Europa, dove trovano le loro comunità e un sistema di protezione e integrazione molto efficiente. Su 132 mila arrivi, solo 43 mila persone hanno presentato la richiesta di asilo in Italia.Il nostro Paese accoglie un rifugiato ogni mille persone, la Svezia più di 16. A livello mondiale, l’90% dei rifugiati trova protezione nei Paesi vicini a quello da cui fuggono: il Libano, ad esempio, ha accolto circa 1,5 milioni di rifugiati siriani, un quarto della popolazione del Paese, la Turchia più di due milione .In Europa, invece, arriva meno del 6% dei richiedenti asilo (dati UNHCR).
NEL 2016, AD OGGI, SONO PIÙ DI 3.930 I MIGRANTI MORTI NEL TENTATIVO DI ATTRAVERSARE IL MAR MEDITERRANEO. NEL 2015 ERANO STATI COMPLESSIVAMENTE 3.777 .NEGLI ULTIMI 20 ANNI SONO STATI CIRCA 27 MILA I MIGRANTI ANNEGATI LUNGO LA ROTTA LIBIA-ITALIA.
“SARANNO POVERI, MA HANNO PURE IL TELEFONINO”
Per chi scappa, il telefono, soprattutto lo smartphone, è un bene necessario perché aiuta a mantenere i contatti con la famiglia di origine e a spostarsi tra Paesi diversi, permettendo l’individuazione delle rotte, la segnalazione di pericoli tra diversi gruppi in fuga, lo scambio di notizie sulle condizioni di accoglienza.La richiesta di connessione wifi nei luoghi di accoglienza è funzionale a queste due necessità.L’acquisto di un telefono, inoltre, è accessibile anche nei Paesi più poveri perché si tratta soprattutto di prodotti locali o di telefoni rigenerati.
“CI RUBANO IL LAVORO”
Falso. Secondo il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, «La presenza immigrata non ha un ruolo significativo nell’influenzare la probabilità per un lavoratore italiano di perdere l’occupazione entrando nella disoccupazione. Non c’è un effetto concorrenza».Secondo un rapporto dell’Istituto universitario europeo di Firenze, nei Paesi europei disoccupazione e immigrazione non sono correlati. Come dimostrano i dati ISTAT elaborati da Fondazione Moressa, in Italia i lavoratori immigrati trovano lavoro in aree differenti e spesso non ambite dai lavoratori italiani (primo settore di impiego i servizi alla persona).
“NON ABBIAMO BISOGNO DI LORO”
Falso. Secondo una ricerca dell’Istituto universitario europeo, se non ci fossero i migranti, l’Europa subirebbe un calo demografico di portata tale da mettere a rischio anche il suo stesso welfare. Oggi in Europa ci sono quattro giovani per ogni pensionato, nel 2060 saranno solo due. «O gli stati europei chiudono le frontiere e accettano di vedere l’Europa pesare sempre meno in un mondo in crescita o si aprono alla migrazione e permettono all’Europa di crescere».
“NON POSSIAMO PERMETTERCI DI MANTENERLI”
La spesa sostenuta per ogni migrante o rifugiato accolto nelle strutture pubbliche è di circa 35 euro al giorno, una cifra che può variare da regione a regione.Di questi solo 2,5 euro vanno direttamente alla persona, gli altri coprono i costi giornalieri dell’accoglienza (vitto, alloggio, manutenzione, stipendi di chi lavora nei centri di accoglienza programmi di inserimento al lavoro…) fornita dai comuni o enti pubblici o privati da loro incaricati. La spesa sostenuta dall’Italia per l’accoglienza di migranti e rifugiati è sostanzialmente uguale a quella a carico degli altri Paesi dell’Unione europea e costa agli italiani circa 11 euro all’anno a testa.Anche l’impatto sui conti pubblici delle operazioni di salvataggio Mare Nostrum e Triton è molto contenuto: reciprocamente 2 euro e 0,50 euro al mese per cittadino (dati Ismu). In termini generali migranti e rifugiati rappresentano comunque una fonte di ricchezza per l’Italia: il PIL generato dai lavoratori stranieri è 123 miliardi di euro all’anno, pari all’8,8% del totale nazionale. Il bilancio tra tasse pagate dagli immigrati (gettito fiscale e contributi previdenziali) e spesa pubblica per l’immigrazione (welfare, politiche di accoglienza e integrazione, contrasto all’immigrazione irregolare) è in attivo di +3,9 miliardi di euro (dati Fondazione Moressa)
“PORTANO MALATTIE”
Non è vero. La paura recentemente alimentata dall’epidemia di Ebola in Africa occidentale è del tutto infondata. Al loro arrivo in Italia, i migranti soffrono di malattie causate dalle condizioni in cui hanno vissuto prima di partire: infezioni intestinali, alle vie respiratorie, alla pelle.In alcuni casi hanno contratto micosi o scabbia, entrambe facilmente curabili e non facili da trasmettere se non con contatti molto ravvicinati o condividendo vestiti, asciugamani, materassi con la persona malata.Queste patologie, inoltre, vengono normalmente individuate durante le operazioni di screening fatte direttamente al porto, dopo lo sbarco.È più facile che il migrante o il rifugiato si ammalino in Italia a causa delle condizioni di estrema povertà in cui spesso sono costretti a vivere, all’insalubrità delle abitazioni, alla disponibilità a lavorare in situazioni di rischio.