(di Fabio Colombo)
Già, ma conosciamo il significato delle parole che usiamo quando parliamo di migrazioni? Cerchiamo di fare chiarezza nella confusione che ci circonda, confusione in parte comprensibile vista la complessità della materia, e in parte indotta da un uso superficiale e strumentale delle parole nel vortice comunicativo contemporaneo.
Come chiamare le persone che si spostano da un posto all’altro? Ecco una rassegna delle parole più utilizzate e del loro significato.
Migrante
Tecnicamente indica una figura in transito, che sta ancora compiendo la sua migrazione. In molti casi però è difficile stabilire quando una persona sia giunta alla fine del proprio percorso migratorio. Molte persone che arrivano in Italia, ad esempio, sono dirette più a nord. Tecnicamente dunque sono migranti. Ma se per motivi vari si trovano a soggiornare in Italia mesi o anni? Rimangono sempre migranti? Non ci sono soglie stabilite, anche perché si tratta di condizioni soggettive.
Contestualmente è anche una categoria generica, che è diventata il modo di chiamare tutti coloro che si spostano da un posto all’altro, nel momento in cui non c’è occasione, tempo o volontà di introdurre delle distinzioni.
Si è detto ad esempio che il 2015 è stato l’anno dei migranti. Non è che tutti fossero perennemente in transito. Alcuni erano in realtà immigrati, altri rifugiati, altri richiedenti asilo, altri ancora sfollati o più genericamente profughi, ma non è che si possa ogni volta scrivere che “il 2015 è stato l’anno dei migranti, degli immigrati, dei rifugiati, dei richiedenti asilo, degli sfollati e dei profughi”.
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